E’ importante
sforzarsi per trovare ispirazione anche quando le cose vanno male.
Il nuovo clima
politico, per chi ha un’idea “alta” della politica, è desolante. Sfruttando l’insoddisfazione
e la paura delle persone, sono arrivati al potere gruppi politici che basano il
loro successo sullo stimolare le pulsioni più basse dell’uomo, l’odio, l’invidia,
usando la tecnica di proporre il capro espiatorio come risoluzione dei
problemi. Non “come fare” ma “a chi dare la colpa?” è il messaggio dominante.
Nonostante questa
apparente povertà umana, è fondamentale andare a cercare con la lanterna gli
spunti che possono servire domani, quando questo periodo confuso sarà finito. E
quindi ho individuato due aspetti interessanti, uno tecnico e uno ideale, che
sono emersi dal triste accavallarsi di urla sguaiate che ha seguito la caduta
del ponte Morandi a Genova.
Li ho trovati
nelle parole di uno dei più improbabili esponenti dell’attuale governo, il
ministro Toninelli.
Lo so, molti
inorridiranno al pensiero. Egli si è distinto soprattutto per quel sorrisetto
freddo, come per dire: è vero, non sono competente, ma ormai mi avete votato e
adesso comando io. E per avere sparato moltissime castronerie su colpevoli,
risarcimenti e sulla ricostruzione, che si illude di poter assegnare a chi
vuole senza fare gara d’appalto, o magari facendo valutare i progetti tramite
televoto.
Eppure, in questo
rumore di fondo di scempiaggini, a un certo punto sono uscite due
considerazioni importanti.
La prima è
tecnica: Toninelli ha menzionato l’idea di dotare le nostre infrastrutture di
sensori che permettano di capire se ci sono pericoli imminenti.
Questa idea non
solo è tutt’altro che stupida, ma non è nemmeno nuova. E’ già utilizzata per
monitorare manufatti di una certa età che siano tuttora in servizio, in vari
paesi. La tecnologia per farlo esiste già. E’ testata, è applicata in una
miriade di usi, e costa abbastanza poco.
Ci sono i
sensori, i sistemi di invio dei segnali e le piattaforme per l’acquisizione
degli stessi. Ci sono ormai anche le risorse software e di analisi dati che
permettono di automatizzare tale monitoraggio e di inviare dati e allarmi dove
e quando serve in maniera istantanea.
Rifare le nostre
infrastrutture, in gran parte nate durante il boom economico degli anni 50-70, sarà
un processo lungo e costoso, lo si dovrà fare, ma non avverrà subito. Quello
che si può fare subito è cablare le infrastrutture esistenti, collegarle a
centri decisionali semi-automatici, e a semafori, sirene, sistemi di
messaggistica che avvertano per tempo se un manufatto sta per cedere. In certi
casi basta essere avvertiti pochi secondi prima per evitare tragedie.
Il secondo
aspetto è di tipo ideale. Toninelli ha parlato in questi giorni di un ponte che
non sia solo un modo per arrivare da A a B ma che sia anche vivibile. Tutti a
ridergli dietro. E’ normale, quando dici troppe scemenze poi nessuno ti prende
sul serio.
Ma il valore dell’idea
rimane. Noi continuiamo a chiamare l’Italia “Il bel paese” per la straordinaria
concentrazione di bellezze sia naturali sia antropiche che ci arricchisce (e
che noi sfruttiamo in minima parte). Ma in questi decenni di grande sviluppo,
il paese si è riempito di non-luoghi (non-lieu,
Augè, 1992) in cui spesso passiamo una fetta significativa della nostra vita.
Sono caselli e ponti autostradali, rotonde stradali, fermate del bus, che
insieme a tante tragiche bifamiliari costruite con il geometra che faceva da
architetto, e a palazzine popolari tirate su in fretta e a basso costo
costituiscono il nostro habitat.
Che nel
costruirne di nuovi si debba cominciare a pensare alla loro abitabilità, all’impatto
visivo che accoglie tutti i giorni chi ci vive, al modo in cui si integrano con
l’ambiente esistente, è sacrosanto.
Già oggi l’iniziativa
privata lo fa, e ne sono riprova i tanti centri commerciali, il cui crudo scopo
(attirare le persone perché spendano lì i loro soldi) è ingentilito da ambienti
gradevoli. Prima erano capannoni. Non che a me piacciano, mi viene l’ansia a
entrarci, ma mi rendo conto che la gente spesso ci va perché trova cose che in
giro per la città spesso non ci sono più: comfort, pulizia, sicurezza,
toilettes.
E quindi si può
pensare un ponte che non sia solo un ponte, un mostro di cemento e acciaio che
incombe sulle teste della gente. In questo caso senza secondi fini,
diversamente dagli shopping malls.
Non saranno gli
attuali governanti a farlo, troppo impegnati a propagandare regalie miliardarie
e severità contro i deboli, ma raccogliamo le idee buone, e mettiamole da
parte. Non gettiamo il ponte insieme all’acqua sporca.