Sono passati 15 anni dall’ultima volta che ho visto Teheran.
Ricordo una città caotica, con un traffico impossibile. Le strade scendono da nord a sud, perché l’enorme città è sdraiata sul versante delle montagne. Ci sono quasi mille metri di dislivello tra le ville dei ricchi ai piedi delle montagne a quasi 2000 m di altezza, e la città bassa, calda e appiccicosa.
Allora non c’erano embargo o sanzioni contro l’Iran. Il paese conosceva una buona crescita economica, Teheran era una città vivace, dedita al commercio. Gli Iraniani erano orgogliosi di essere la principale manifattura del Medio Oriente, e i principali produttori di frutta, verdura, carne, che vendevano ai “nemici” arabi in tutta la regione.
Ricordo persone curiose e interessate a noi stranieri, una apertura mentale che oggi manca persino da noi. E la gente per strada mi si rivolgeva in Farsi, perché con un po’ di barba e di abbronzatura sembravo abbastanza locale. Dovevo deluderli, non ho fatto in tempo a imparare la lingua.
Nei ristoranti, quando sapevano che eri straniero, ti mettevano un a bandierina del tuo paese al tavolo, e la gente, vedendola, veniva a chiacchierare e a chiederti del tuo paese.
In un paese in cui ufficialmente molte cose erano vietate, la gente si arrangiava. Le conquiste civili giunte con l’occidentalizzazione forzata dello Scià non erano state dimenticate. Gli Iraniani hanno sempre amato il buon vino e la compagnia, e fare tardi, proprio come noi.
Ricordo i giovani in tutto e per tutto simili ai nostri ragazzi, le giovani donne che portavano con negligenza un foulard che copriva appena il capo, lasciando in mostra il lavoro del parrucchiere e il trucco elaborato. Tra di loro, i Pasdaran, guardiani della rivoluzione, e i Basiji, la polizia religiosa, erano guardati con disprezzo, sopportati in quanto espressione della cieca violenza del regime teocratico. Uno di loro, un certo Ahmadinejad, stava per diventare sindaco di Teheran, e poi primo ministro. Uno che aveva fatto carriera buttando studenti dai tetti delle facoltà universitarie. E legandosi ai politicanti più corrotti e disposti a compromessi di basso livello che c’erano nel paese.
Da allora so dell’Iran da amici e colleghi iraniani, spesso costretti a vivere e lavorare all’estero dalle sanzioni ideologiche che la destra religiosa americana ha imposto a quel paese, avvelenando l’intera regione.
Questo puntiglio da fanatici ha favorito le seguenti categorie:
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L’industria
pesante americana.
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I
fanatici religiosi iraniani, che nel nome della difesa dell’Islam, prendono il
sopravvento sui moderati e i riformatori.
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I
fanatici religiosi israeliani, che nel nome della difesa di Israele, prendono
il sopravvento sui moderati e i riformatori
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I
fanatici religiosi della destra americana, che nel nome della difesa dell’America,
prendono il sopravvento sui moderati e i riformatori
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I
fanatici religiosi dei paesi arabi, che nel nome dell’odio per Israele,
prendono il sopravvento sui moderati e i riformatori
In mezzo invece ci sono rimasti i miei amici Iraniani. Intelligenti, vivaci, divertenti, aperti, attivi, beoni, cosmopoliti, capaci e allegri.
E più di loro la povera gente, che è tanta in Iran, e che oggi deve crepare per mancanza di materiali sanitari causata dall’embargo.
L’embargo all’Iran è un crimine contro l’umanità e deve finire. L’Europa deve contrastarlo, e riallacciare i legami con un paese che, sotto alla cappa della teocrazia, è fatto di gente moderna e sveglia, che aspetta solo di potersi liberare.
https://www.corriere.it/esteri/20_marzo_21/nostra-doppia-emergenza-coronavirus-sanzioni-f54c418e-6b64-11ea-8bdc-8d7efa0d8720.shtml