Tre virgola sette milioni di anni fa, in Tanzania, il
vulcano Sadiman eruttò.
Non si trattava di un evento raro, e quindi le creature che
vivevano in quella zona non si spaventarono più di tanto. Si limitarono a stare
sopravento, in modo da non essere investite dalla nevicata di ceneri che
accompagnava ogni eruzione.
Il clima, in quel tempo lontano, era simile all’attuale: caldo-umido,
foresta intervallata da radure erbose, e savana, solcata da fiumi dall’andamento
stagionale. Gli animali erano più o meno gli stessi che oggi abitano la zona: cinghiali,
giraffe, iene, scimmie, giraffe e altri grossi erbivori oggi estinti. Vivevano
da quelle parti anche gruppi di ominidi. Forse nostri antenati, forse solo
lontani zii. Già dotati di una certa intelligenza, erano cacciatori-raccoglitori che
temevano i predatori ma stavano iniziando a scoprire i piaceri della dieta
onnivora: scesi dalle piante della foresta equatoriale ove avevano lasciato i
cugini pongidi, andavano ormai per la loro strada. Uscivano dall’eden, gli australopithecus afarensis.
Un giorno, quando l’eruzione era appena finita, si mise a
piovere. Lo sappiamo, perchè le ceneri del vulcano, invece di essere disperse
al vento, divennero una specie di fango, denso, che poi asciugandosi si indurì
come cemento, giungendo fino a noi. Una grande pozza di fango diventato roccia,
che ha conservato le impronte degli animali che in quelle ore, o forse per pochi
giorni, ci hanno camminato sopra, oltre a rametti che vi erano caduti, e perfino le
impronte delle gocce di pioggia sulla sua superficie.
Il luogo oggi si chiama Laetoli-Hadar. Tra le tante impronte che ospita, scoperte dalla grande
paleoantropologa Mary Leakey nel 1976, cen’erano alcune inconfondibili:
impronte di piedi umani che camminavano per un tratto di 25 metri. Il passo era
chiaramente di un essere abituato a camminare eretto. Ma non era solo. Un altro
individuo, più piccolo, camminava con lui alla sua sinistra. Un ragazzino, si
direbbe. E poi c’era qualcun’altro con loro. Qualcuno con i piedi ancora più
piccoli, che si divertiva a saltare dentro alle impronte dell’adulto. E le
tracce dei suoi piedini sono ancora lì, a mostrarci questo quadro familiare.
Il sole doveva essere basso, e i tre camminavano tranquilli,
verso una sorgente, o di ritorno verso il villaggio.
Chi studia le tracce del passato della nostra specie o del
nostro pianeta, le cerca e le trova sempre in mezzo a scenari di morte e distruzione.
Tombe, scheletri fossili, seppelliti nelle era geologiche; meteoriti assassine,
alluvioni colossali, eruzioni distruttrici, sono le tracce che di solito
troviamo.
Ma per una volta, è la vita, non la morte, a darci
informazioni geologiche importanti e precise; e possiamo pensare che i tre
viaggiatori di quel giorno, un papà con i suoi figlioli, non siano mai
diventati fossili.
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