Uso questo blog per pensare. Lo uso per arrabbiarmi per le cose non giuste. Lo uso per condividere il mio pensiero con chi voglia farlo. Non ho altro che abbia senso mettere in comune. Gionata

venerdì 29 luglio 2016

Il giorno più felice per un geologo



Tre virgola sette milioni di anni fa, in Tanzania, il vulcano Sadiman eruttò.

Non si trattava di un evento raro, e quindi le creature che vivevano in quella zona non si spaventarono più di tanto. Si limitarono a stare sopravento, in modo da non essere investite dalla nevicata di ceneri che accompagnava ogni eruzione.




Il clima, in quel tempo lontano, era simile all’attuale: caldo-umido, foresta intervallata da radure erbose, e savana, solcata da fiumi dall’andamento stagionale. Gli animali erano più o meno gli stessi che oggi abitano la zona: cinghiali, giraffe, iene, scimmie, giraffe e altri grossi erbivori oggi estinti. Vivevano da quelle parti anche gruppi di ominidi. Forse nostri antenati, forse solo lontani zii. Già dotati di una certa intelligenza, erano cacciatori-raccoglitori che temevano i predatori ma stavano iniziando a scoprire i piaceri della dieta onnivora: scesi dalle piante della foresta equatoriale ove avevano lasciato i cugini pongidi, andavano ormai per la loro strada. Uscivano dall’eden, gli australopithecus afarensis.

Un giorno, quando l’eruzione era appena finita, si mise a piovere. Lo sappiamo, perchè le ceneri del vulcano, invece di essere disperse al vento, divennero una specie di fango, denso, che poi asciugandosi si indurì come cemento, giungendo fino a noi. Una grande pozza di fango diventato roccia, che ha conservato le impronte degli animali che in quelle ore, o forse per pochi giorni, ci hanno camminato sopra, oltre a rametti che vi erano caduti, e perfino le impronte delle gocce di pioggia sulla sua superficie.

Il luogo oggi si chiama Laetoli-Hadar. Tra le tante impronte che ospita, scoperte dalla grande paleoantropologa Mary Leakey nel 1976, cen’erano alcune inconfondibili: impronte di piedi umani che camminavano per un tratto di 25 metri. Il passo era chiaramente di un essere abituato a camminare eretto. Ma non era solo. Un altro individuo, più piccolo, camminava con lui alla sua sinistra. Un ragazzino, si direbbe. E poi c’era qualcun’altro con loro. Qualcuno con i piedi ancora più piccoli, che si divertiva a saltare dentro alle impronte dell’adulto. E le tracce dei suoi piedini sono ancora lì, a mostrarci questo quadro familiare.

Il sole doveva essere basso, e i tre camminavano tranquilli, verso una sorgente, o di ritorno verso il villaggio.
Chi studia le tracce del passato della nostra specie o del nostro pianeta, le cerca e le trova sempre in mezzo a scenari di morte e distruzione. Tombe, scheletri fossili, seppelliti nelle era geologiche; meteoriti assassine, alluvioni colossali, eruzioni distruttrici, sono le tracce che di solito troviamo.
Ma per una volta, è la vita, non la morte, a darci informazioni geologiche importanti e precise; e possiamo pensare che i tre viaggiatori di quel giorno, un papà con i suoi figlioli, non siano mai diventati fossili.
 

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