Uso questo blog per pensare. Lo uso per arrabbiarmi per le cose non giuste. Lo uso per condividere il mio pensiero con chi voglia farlo. Non ho altro che abbia senso mettere in comune. Gionata

sabato 26 ottobre 2019

I mafiosi non pentiti devono marcire in galera


Chi sono io per contestare le decisioni della corte costituzionale?

https://www.lastampa.it/cronaca/2019/10/23/news/la-consulta-cancella-l-ergastolo-duro-per-i-mafiosi-1.37779946

Non un avvocato, o un giudice, non un esperto di diritto. Sono un cittadino italiano che aveva vent’anni quando due bombe hanno ucciso i giudici Falcone e Borsellino con tutta la loro scorta.

Cosa Nostra, la mafia imperante fino ad allora, stava cercando di vincere la guerra contro lo stato italiano.

Perché di guerra si tratta. Se vince la mafia, allora vivremo in un paese in cui invece degli articoli della costituzione saranno legge la prepotenza, la prevaricazione, i legami di sangue. La criminalità organizzata vuole sovvertire con le armi il potere dello stato, per garantirsi ricchezza e potere.

I mafiosi all’ergastolo quindi non sono criminali comuni. Il loro reato non si è ancora estinto, lo stanno ancora commettendo, perché la guerra contro la criminalità organizzata non è finita. Loro sono i generali dell’esercito mafioso. Se non sono pentiti, sono ancora in carica. Se loro escono, comunicano con i loro amici e parenti, ricominciano a combattere quella guerra. E non dobbiamo permetterlo.

domenica 21 luglio 2019

Diario del runner imperfetto.


Dopo una corsa di circa 45 minuti, il runner imperfetto è piuttosto soddisfatto. Se poi il percorso ha dei dislivelli, egli è orgoglioso di averli affrontati, pur accorciando il passo ma mantenendo il ritmo della falcata, rallentando un pochino ma con serenità e senza affanno, conoscendo il potenziale e i limiti del proprio corpo.

Egli osserva l’orizzonte lontano con sguardo da imperatore: ebbene sì, mondo, ancora una volta ti ho piegato al mio volere. Ho dovuto sudare, ma ho corso su di te e ce l’ho fatta.

Si toglie gli occhiali da sole, che servono soprattutto per vedere meno il mondo intorno, soprattutto in salita, per non vedere la Madonna con l’azzurro manto, le mani aperte e gli occhi rivolti verso il cielo, che prega addolorata per la sofferenza del runner.

E’ fresco alla mattina, l’orario perfetto per correre. Le 7 e 30. Il runner imperfetto lo sa. E alla sera lo dichiara a tutti gli amici.

Sì, le 7 e 30, quella era l’ora prefissata. Poi alzarsi dal letto si è rivelato più complesso del previsto, e tra un traccheggio e un caffè alla fine sono le 9 meno un quarto, e l’estate ha già acceso i suoi forni. Il runner riesce nel suo intento, ma paga il pegno, la sua libbra di carne.

Però che goduria. Domani ancora. La via della perfezione è tutta in salita. Un ultimo sguardo alle montagne, prima di andare in doccia, poi lo sguardo scende verso le scarpe, per ringraziare i piedi che lo hanno condotto al traguardo…ma non li trova.

C’è una roba in mezzo.

E tu che cazzo ci fai lì? Chiede il runner imperfetto.

E la panza risponde, timidamente: “eh, sai, le colazioni tirolesi alla mattina…”

Il runner si incazza. “Ma come! E poi il trekking pomeridiano!

“Ma lo stinco con gli spaetzle in baita…”

 E allora le nuotate alla sera? Non contano niente? Cosa ci fai ancora lì, disgraziata!

La panza mormora come per scusarsi. “Due weizen…”.

Eeeeeh. E allora. Il runner è imperfetto. Ma anche il mondo non scherza.

lunedì 17 giugno 2019

Siamo ancora in tempo?


In questi giorni ho cercato di capire che fine farà il nostro pianeta e noi con lui. Dopo l’excursus che ho fatto, e di cui propongo qui alcuni spunti, i miei dubbi sono aumentati, e non di poco.

Questo discorso di Jim Beasley su TED descrive le ricerche che lui e un gruppo internazionale di scienziati ha fatto sulla fauna all’interno della zona di esclusione di Chernobyl.


Il video è in inglese, e spiega una cosa molto chiara. Contrariamente a quanto si aspettavano, hanno riscontrato che la vita animale e vegetale prospera intorno a Chernobyl, nella zona da cui gli umani sono stati evacuati da trent’anni.

Grandi mammiferi, predatori, animali quasi estinti in Europa vivono e si riproducono in una zona in cui le radiazioni sono troppo alte per la sicurezza degli umani.  Non solo: la concentrazione di animali selvatici è molto più alta di altri parchi naturistici nella stessa Ucraina. Inoltre, invece di assieparsi ai margini della zona, lontano dal reattore, gli animali sono più frequenti verso il centro.

Questo significa una sola cosa: no, non significa che le radiazioni fanno bene. Fanno molto male: se sono molto intense bruciano la carne. Se sono poco intense, provocano il cancro.

Significa invece che per la vita animale e vegetale, c’è una cosa certamente peggiore di un incidente nucleare come Chernobyl. Peggiore a tal punto da preferire di vivere vicino alla centrale danneggiata. Quella cosa siamo noi.

Vivono lì, insieme dalle radiazioni, meglio di come vivono in qualsiasi posto in cui ci siamo noi umani.

Spesso si sente parlare di come potrebbe estinguersi la vita sulla terra. Ogni tanto si parla dell’asteroide che potrebbe colpirci. Degli effetti dell’asteroide. Però, se guardiamo la velocità a cui animali e habitat si stanno estinguendo, spesso anche solo per mancanza di spazio, ci rendiamo conto che l’asteroide sulla terra è già arrivato.

Siamo noi, l’asteroide. Siamo noi, la prossima estinzione di massa, e sta già succedendo.

Reggerà il pianeta dieci miliardi di consumatori (perché non c’è alcun dubbio che presto saremo dieci miliardi e non c’è nessun modo in cui ciò si possa impedire, a meno di cominciare a sterminare gente)? Consiglio questo altro Ted Talk di Hans Rosling che lo spiega in maniera elementare e geniale.


Intanto mi piacerebbe che chi è più capace di me di fare ricerche in campi economici e sociali, trovi il modo di sganciare lo sviluppo dell’uomo dal consumo del pianeta, perché fino ad ora abbiamo vissuto come se non ci fosse un domani. E forse infatti non ci sarà.

Al centro degli oceani, le correnti stanno accumulando la nostra spazzatura di plastica. Che soffoca la vita in mare, senza la quale non ce la possiamo fare nemmeno noi. Le immagini che mostrano l’acqua dell’oceano ridotta a una densa brodaglia di frammenti microscopici di plastica, le carcasse degli animali marini e degli uccelli trovate piene di pezzi di plastica inghiottiti per sbaglio, non sono bufale. E’ tutto vero.

Anche qui abbiamo una spiegazione chiara e disincantata del fenomeno, da parte del capitano Charles Moore, oceanografo californiano e arrabbiato nemico della plastica usa e getta.


Esiste un piano B per produrre quello che serve senza distruggere tutto ciò che ci circonda? Qualcuno ci ha pensato?

E dopo averci pensato, esiste un modo per fare in modo che la politica se ne occupi?

Sull’argomento propongo le riflessioni e la denuncia da parte del giurista americano Larry Lessig, che compara l’autoritarismo cinese con le storture della democrazia americana.


Che chances abbiamo se il paese più popoloso al mondo e quello più potente impediscono che le vere urgenze che impattano sulla popolazione vengano risolte?

Quando ho iniziato questo blog, nel mio paese, in Italia, c’era al governo Berlusconi, nella sua marcescente fase finale. Lo credevo il peggio possibile. Il che dimostra solo quanto limitata sia la mia immaginazione.


Anche adesso in Italia c’è un governo che mi sembra dannosissimo. Ma nello schema delle cose, non è altro che una buca sul Trionfale Cammino del Progresso. Il problema è proprio il Trionfale Cammino, da cui rischiamo di non uscire vivi.

giovedì 23 maggio 2019

Perché ho un problema con Checco Zalone


E’ bravissimo Checco Zalone. 
I suoi sketches e i suoi film fanno cadere dalla sedia dal ridere. A partire dalle prime gag con la chitarra, poi con quel video virale sui mondiali, e infine i film in cui questo italianissimo sbrindellato e che poi nasconde talenti notevoli si scontra con tutto: con le regole, con il bon-ton, con i cattivi, e con l’Europa.

I personaggi di Zalone piacciono a tutti, e lo si vede dal successo enorme di pubblico e di critica.

Bravo Checco. Ce ne vorrebbero cento talentuosi come te.

Epperò. Però quando guardo le sue robe, un po’ rido e un po’ mi incazzo.

E mi incazzo perché so che nello stesso momento tanti stanno guardando le stesse scene, e ridono, ma ridono di sollievo. Perché non capiscono, o non vogliono capire, che Checco disprezza quelle caricature che incarna.

Noi ridiamo perché ci sentiamo superiori all’italianuzzo furbo, incolto, che non vuole lavorare, che è sempre colpa di qualcun altro, che cerca di fregare lo stato e poi punta il dito contro i poveracci. Il cafone che non rispetta e non si interessa a nulla al di fuori del suo bisogno immediato. Lo stereotipo che non sopporta l’ordine e il funzionamento dei paesi del nord Europa, per invidia.

Checco Zalone ha costruito magistralmente questi personaggi, che secondo me rappresentano il nuovo Fantozzi, l’Italiano inadeguato al mondo che cambia, preso in mezzo. Checco, ti considero al livello di Paolo Villaggio, che era un genio.

Ma io temo che molti guardino e ridano, un po’ per divertimento e un po’ per compiacimento. Perché, riconoscendo i propri difetti, invece di sentirsi punti dall’ortica, si sentono giustificati. Ma certo, siamo tutti così, è giusto. Non c’è bisogno di migliorarsi, di essere solidali nei confronti degli altri, di diventare cittadini. Persino al cinema siamo celebrati!

Avanti! Buttiamo le cartacce dal finestrino. Bullizziamo i secchioni a scuola. Attacchiamo ogni minoranza, tanto noi siamo di più. Sbracare è il diritto rivendicato.

A costoro dico, guardatelo tutto, il film. Perché i personaggi di Checco alla fine sconfiggono sé stessi, e si costruiscono intorno un mondo migliore.

It’s easy, if you try. Non è difficile farlo, basta provarci. Anche senza il talento di Checco Zalone.

sabato 27 aprile 2019

Eroismo del runner e gratitudine


Passo davanti alla birreria. Tarda mattinata, già i primi aperitivisti si affacciano nel locale. Già aleggiano dibattiti su juve-inter, inutili quanto divertenti, o discussioni su chi sia il miglior bassista dell’era grunge, tra una IPA e l’altra. Che faccio, entro? Qui si decide l’intero weekend. Birrazza adesso vorrebbe dire niente corsa, forse stasera, ma non so. Domani figurati, c’è pure il Gran Premio.

Passo davanti, saluto, guardo dentro, non vedo conoscenti che potrebbero irretirmi, tiro dritto. Devo correre.

Ecco, l’eroismo era quello lì.

Le mie componenti commentano.

La panza: - meno male dai, che qui si sta già un po' stretti.

La coscienza: - ma che cazzo di eroe saresti? Eri lì dentro dodici ore fa.

E allora si va. Corsa lunga, propiziata da un sole non ancora troppo caldo. Pattuglie dei primi insetti mi scortano per lunghi tratti. Stranamente non ne mangio nessuno. Lungo i fossi, bestiole allarmate dal mio arrivo si gettano in acqua. Sono senza occhiali quindi è solo dalla grandezza dello “splof!” che capisco se si tratta di anatra, batrace, o milò.

Poi vedo una Honda XRD ibrida di traverso sulla riva di un fosso, color grigio topo. Strano però. Mi avvicino, il colore è cangiante. Non ha targa. Arrivo ancora più vicino. E’ coperta di pelo. Ah ok, era solo una nutria. Poi dicono che l’acqua dei fossi è inquinata.

Terdoppio spumeggiante vicino alla cascatella della chiusa. Schiuma vera, di acqua e aria, senza tensioattivi, meno male. La natura è benevola oggi, nei confronti del runner bolso ma determinato.

Si rientra stanchi ma orgogliosi della strada fatta. Ah, già, e la gratitudine? Essa, anzi, la mancanza della stessa, si rivela nella successiva riunione fatta con le varie parti del corpo:

cominciano le anche, che negli anni si sono sindacalizzate, specie quella di destra: - si vabbè ma guarda che non c’è scritto da nessuna parte che io debba fare tutta quella strada di corsa.

I piedi: - ma tu sei scemo, ma sai quanti sassi hai preso? Ma ci vedi?

Muscoli delle gambe: - adesso però per salire le scale ci pensano le braccia ok?

Il collo: - qui tutto bene, basta non girarsi né a destra né a sinistra né in alto né in basso.

Ma ragazzi, io l’ho fatto per voi!

Il cuore, sempre serio: - le faccio presente che io ho una garanzia chilometrica, qui secondo me abbiamo accorciato la durata temporale.

Il gomito sinistro: - vabbè, almeno stavolta non mi sei caduto sopra!

L’ernia del disco: - a posto dai, poi ti spiego bene quando ti siedi in macchina.

E il cervello? – ah, che figata la doccia. And now? Where is my alcohol?

Il mio corpo non mi merita.


martedì 22 gennaio 2019

L'orologio più grande


Per noi geologi il tempo si misura in un'altra maniera.

Non sono gli orologi, né i documenti antichi a scandire il passaggio del tempo geologico. Per misurare questo tempo profondo servono due cose. Prima un po’ di martellate, e poi un po’ di fisica nucleare.

Le martellate servono per rompere le rocce, guardare come sono fatte dentro, e capire quale roccia si è formata prima di un’altra. Si ottiene così un’idea del tempo relativa. Per esempio: questa roccia fatta di coralli pietrificati si è formata sopra a quest’altra, fatta di materiale vulcanico, e non il contrario.

Se si danno abbastanza martellate in giro per il mondo si può ottenere una scala del tempo relativa di tutte le rocce del mondo. E nei decenni, ci siamo arrivati, consumando tanti martelli.

Ma poi bisogna capire quanto sono vecchie veramente queste rocce. E qui bisogna telefonare ai fisici. Gli si dà un pezzo di roccia, con dentro i minerali giusti, e loro si chiudono in laboratorio. Non ci fanno entrare, perché hanno paura che rompiamo qualcosa.

Ma quando escono, con i numerini, si ottiene quello che vedete qui sotto. La carta Cronostratigrafica del mondo.

A parte i bei colori, questo è il più grande orologio del mondo, perché misura il tempo che è passato da quando esiste la terra. Gli strati più antichi, in basso a destra, in fucsia, hanno 4 miliardi e seicento milioni di anni. Non c’era vita, allora, e nemmeno aria respirabile. L’acqua sì, per fortuna. Da li, si sale verso il presente.

E noi dove siamo? In alto a sinistra, occupiamo il periodo Quaternario dell’era Cenozoica, e neanche tutto, siamo nella parte in giallino. Appena arrivati, si potrebbe dire. Abbiamo già fatto grossi danni, però, e se esisterà ancora vita intelligente sul pianeta tra qualche milione di anni, i geologi di allora vedranno le rocce di oggi e ci sarà una bella riga nera, fatta di fuliggine, scarti del petrolio e spazzatura, compressi.

E nella loro lingua sconosciuta commenteranno: lo vedi che coglioni che erano? Lo credo che si sono estinti.

mercoledì 2 gennaio 2019

La prima corsa dell’anno.



L’orgoglio avrebbe voluto piantare la bandierina sul 2019 già ieri, primo gennaio, e mi diceva di cambiarmi e andare a correre in campagna.

Fuori, un mondo grigio mi guardava esitante. Chiaramente l’anno non era veramente iniziato. Primo gennaio si, ma con calma. Riordinare casa dopo bagordi. Caffettino. Pisolo. Poi a sorpresa arriva un amico. Aiuta a sistemare, soprattutto a finire le bottiglie lasciate a metà della festa. Si piluccano gli avanzi. Si fa sera. Ciao la corsa. Quanti buoni propositi schiantati da quel che resta del Bollinger.

Ma oggi no, oggi è ufficiale. Giorno feriale per eccellenza, il 2 gennaio è sobrio, secco, solare. Si lavora, il 2 gennaio. Si fa colazione con un caffè nero, senza zucchero, si gira al largo da pandori panettoni, cremine varie, si aggira il vassoio dei gianduiotti, abbondantemente razziato dai figli nottetempo. E poi, se magari capita di uscire per qualche commissione, respirando l’atmosfera del pianeta, fredda e croccante, allora è chiaro. La giornata è stata ideata per correre.

Ma saranno due mesi, tra una cosa e l’altra. Ci vuole un quarto d’ora per trovare tutto l’occorrente (poco, invero: scarpe, calze, calzoncini, tshirt, teresina da vento, occhiali, timer, ma uno per ogni cantone della casa).

Tutto fatto. Partenza.

Sembra quasi di poter correre normalmente all’inizio, come se non avessi passato due mesi seduto, come se cene natalizie e festive non ci fossero state, laddove nella realtà è stata una sequela di pasti pantagruelici innaffiati in tutti i modi.

Ma poi mi cade l’occhio sulla mia ombra. E non corrisponde alla mia immagine mentale di un uomo che corre immerso nella natura. Sembra più il nonno di quell’uomo, che incede a fatica, bisognoso di soccorso. Decido di ignorare la realtà, che oggi tanto va di moda. Mi concentro su passo e respiro regolari. Guardo la campagna, mi piego al vento quanto basta, evito i punti in cui il ghiaccio della notte, con il sole del mattino ha sciolto la fanghiglia, creando superfici di scivolamento potenzialmente letali.
Non guardo il cronometro, che demoralizza la truppa. Proseguo nel sole, supero cascine, attraverso, con cautela, la statale, poi arrivo a salutare il mio vecchio amico, il Canale Cavour. Nelle sue acque una volta limpide ho imparato a nuotare. Nelle sue successive versioni, più putride, ho visto la mia prima carogna di animale. Ho gettato sassi che facevano fataflomp. Un’era fa. Oggi lo raggiungo e lo seguo, il passo rimane regolare, mi conduce verso casa.

Ci salutiamo, io e il canale, ma il mio passo si è fatto più leggero, ho rotto l’incantesimo, dal rospo zoppicante di prima per magia si è ora formato…un altro rospo, un po’ meno zoppicante. Allungando le falcate torno in città, sull’asfalto si va più veloci, si superano i giardini degli altri, si evitano i tombini mai perfettamente a filo con l’asfalto. Ed ecco lo schluss finale, rettilineo, su marciapiede di porfido. La mano corre per un automatismo al polso, per fermare il cronometro esattamente al passaggio sul traguardo. Oggi il tempo non conta, ma il dato va comunque archiviato, siamo uomini di scienza.

L’arrivo è di fronte all’agenzia di pompe funebri, che non si sa mai.

Non mi fermo, però. Vado avanti, camminando, ma a passo sostenuto. La bandiera è piantata. Il sole dell’avvenire brilla alto.

Eccomi, 2019.