Uso questo blog per pensare. Lo uso per arrabbiarmi per le cose non giuste. Lo uso per condividere il mio pensiero con chi voglia farlo. Non ho altro che abbia senso mettere in comune. Gionata

mercoledì 2 gennaio 2019

La prima corsa dell’anno.



L’orgoglio avrebbe voluto piantare la bandierina sul 2019 già ieri, primo gennaio, e mi diceva di cambiarmi e andare a correre in campagna.

Fuori, un mondo grigio mi guardava esitante. Chiaramente l’anno non era veramente iniziato. Primo gennaio si, ma con calma. Riordinare casa dopo bagordi. Caffettino. Pisolo. Poi a sorpresa arriva un amico. Aiuta a sistemare, soprattutto a finire le bottiglie lasciate a metà della festa. Si piluccano gli avanzi. Si fa sera. Ciao la corsa. Quanti buoni propositi schiantati da quel che resta del Bollinger.

Ma oggi no, oggi è ufficiale. Giorno feriale per eccellenza, il 2 gennaio è sobrio, secco, solare. Si lavora, il 2 gennaio. Si fa colazione con un caffè nero, senza zucchero, si gira al largo da pandori panettoni, cremine varie, si aggira il vassoio dei gianduiotti, abbondantemente razziato dai figli nottetempo. E poi, se magari capita di uscire per qualche commissione, respirando l’atmosfera del pianeta, fredda e croccante, allora è chiaro. La giornata è stata ideata per correre.

Ma saranno due mesi, tra una cosa e l’altra. Ci vuole un quarto d’ora per trovare tutto l’occorrente (poco, invero: scarpe, calze, calzoncini, tshirt, teresina da vento, occhiali, timer, ma uno per ogni cantone della casa).

Tutto fatto. Partenza.

Sembra quasi di poter correre normalmente all’inizio, come se non avessi passato due mesi seduto, come se cene natalizie e festive non ci fossero state, laddove nella realtà è stata una sequela di pasti pantagruelici innaffiati in tutti i modi.

Ma poi mi cade l’occhio sulla mia ombra. E non corrisponde alla mia immagine mentale di un uomo che corre immerso nella natura. Sembra più il nonno di quell’uomo, che incede a fatica, bisognoso di soccorso. Decido di ignorare la realtà, che oggi tanto va di moda. Mi concentro su passo e respiro regolari. Guardo la campagna, mi piego al vento quanto basta, evito i punti in cui il ghiaccio della notte, con il sole del mattino ha sciolto la fanghiglia, creando superfici di scivolamento potenzialmente letali.
Non guardo il cronometro, che demoralizza la truppa. Proseguo nel sole, supero cascine, attraverso, con cautela, la statale, poi arrivo a salutare il mio vecchio amico, il Canale Cavour. Nelle sue acque una volta limpide ho imparato a nuotare. Nelle sue successive versioni, più putride, ho visto la mia prima carogna di animale. Ho gettato sassi che facevano fataflomp. Un’era fa. Oggi lo raggiungo e lo seguo, il passo rimane regolare, mi conduce verso casa.

Ci salutiamo, io e il canale, ma il mio passo si è fatto più leggero, ho rotto l’incantesimo, dal rospo zoppicante di prima per magia si è ora formato…un altro rospo, un po’ meno zoppicante. Allungando le falcate torno in città, sull’asfalto si va più veloci, si superano i giardini degli altri, si evitano i tombini mai perfettamente a filo con l’asfalto. Ed ecco lo schluss finale, rettilineo, su marciapiede di porfido. La mano corre per un automatismo al polso, per fermare il cronometro esattamente al passaggio sul traguardo. Oggi il tempo non conta, ma il dato va comunque archiviato, siamo uomini di scienza.

L’arrivo è di fronte all’agenzia di pompe funebri, che non si sa mai.

Non mi fermo, però. Vado avanti, camminando, ma a passo sostenuto. La bandiera è piantata. Il sole dell’avvenire brilla alto.

Eccomi, 2019.

Nessun commento:

Posta un commento