Uso questo blog per pensare. Lo uso per arrabbiarmi per le cose non giuste. Lo uso per condividere il mio pensiero con chi voglia farlo. Non ho altro che abbia senso mettere in comune. Gionata

domenica 23 settembre 2018

Gettare il ponte insieme all’acqua sporca


E’ importante sforzarsi per trovare ispirazione anche quando le cose vanno male.

Il nuovo clima politico, per chi ha un’idea “alta” della politica, è desolante. Sfruttando l’insoddisfazione e la paura delle persone, sono arrivati al potere gruppi politici che basano il loro successo sullo stimolare le pulsioni più basse dell’uomo, l’odio, l’invidia, usando la tecnica di proporre il capro espiatorio come risoluzione dei problemi. Non “come fare” ma “a chi dare la colpa?” è il messaggio dominante.

Nonostante questa apparente povertà umana, è fondamentale andare a cercare con la lanterna gli spunti che possono servire domani, quando questo periodo confuso sarà finito. E quindi ho individuato due aspetti interessanti, uno tecnico e uno ideale, che sono emersi dal triste accavallarsi di urla sguaiate che ha seguito la caduta del ponte Morandi a Genova.

Li ho trovati nelle parole di uno dei più improbabili esponenti dell’attuale governo, il ministro Toninelli.

Lo so, molti inorridiranno al pensiero. Egli si è distinto soprattutto per quel sorrisetto freddo, come per dire: è vero, non sono competente, ma ormai mi avete votato e adesso comando io. E per avere sparato moltissime castronerie su colpevoli, risarcimenti e sulla ricostruzione, che si illude di poter assegnare a chi vuole senza fare gara d’appalto, o magari facendo valutare i progetti tramite televoto.

Eppure, in questo rumore di fondo di scempiaggini, a un certo punto sono uscite due considerazioni importanti.

La prima è tecnica: Toninelli ha menzionato l’idea di dotare le nostre infrastrutture di sensori che permettano di capire se ci sono pericoli imminenti.

Questa idea non solo è tutt’altro che stupida, ma non è nemmeno nuova. E’ già utilizzata per monitorare manufatti di una certa età che siano tuttora in servizio, in vari paesi. La tecnologia per farlo esiste già. E’ testata, è applicata in una miriade di usi, e costa abbastanza poco.

Ci sono i sensori, i sistemi di invio dei segnali e le piattaforme per l’acquisizione degli stessi. Ci sono ormai anche le risorse software e di analisi dati che permettono di automatizzare tale monitoraggio e di inviare dati e allarmi dove e quando serve in maniera istantanea.

Rifare le nostre infrastrutture, in gran parte nate durante il boom economico degli anni 50-70, sarà un processo lungo e costoso, lo si dovrà fare, ma non avverrà subito. Quello che si può fare subito è cablare le infrastrutture esistenti, collegarle a centri decisionali semi-automatici, e a semafori, sirene, sistemi di messaggistica che avvertano per tempo se un manufatto sta per cedere. In certi casi basta essere avvertiti pochi secondi prima per evitare tragedie.

Il secondo aspetto è di tipo ideale. Toninelli ha parlato in questi giorni di un ponte che non sia solo un modo per arrivare da A a B ma che sia anche vivibile. Tutti a ridergli dietro. E’ normale, quando dici troppe scemenze poi nessuno ti prende sul serio.

Ma il valore dell’idea rimane. Noi continuiamo a chiamare l’Italia “Il bel paese” per la straordinaria concentrazione di bellezze sia naturali sia antropiche che ci arricchisce (e che noi sfruttiamo in minima parte). Ma in questi decenni di grande sviluppo, il paese si è riempito di non-luoghi (non-lieu, Augè, 1992) in cui spesso passiamo una fetta significativa della nostra vita. Sono caselli e ponti autostradali, rotonde stradali, fermate del bus, che insieme a tante tragiche bifamiliari costruite con il geometra che faceva da architetto, e a palazzine popolari tirate su in fretta e a basso costo costituiscono il nostro habitat.

Che nel costruirne di nuovi si debba cominciare a pensare alla loro abitabilità, all’impatto visivo che accoglie tutti i giorni chi ci vive, al modo in cui si integrano con l’ambiente esistente, è sacrosanto.

Già oggi l’iniziativa privata lo fa, e ne sono riprova i tanti centri commerciali, il cui crudo scopo (attirare le persone perché spendano lì i loro soldi) è ingentilito da ambienti gradevoli. Prima erano capannoni. Non che a me piacciano, mi viene l’ansia a entrarci, ma mi rendo conto che la gente spesso ci va perché trova cose che in giro per la città spesso non ci sono più: comfort, pulizia, sicurezza, toilettes.

E quindi si può pensare un ponte che non sia solo un ponte, un mostro di cemento e acciaio che incombe sulle teste della gente. In questo caso senza secondi fini, diversamente dagli shopping malls.

Non saranno gli attuali governanti a farlo, troppo impegnati a propagandare regalie miliardarie e severità contro i deboli, ma raccogliamo le idee buone, e mettiamole da parte. Non gettiamo il ponte insieme all’acqua sporca.